In sintesi
- 🎬 Un professore 3
- 📺 Rai 1, ore 21:30
- 📚 Serie che unisce filosofia, drama adolescenziale e relazioni complesse seguendo la classe 5ª B e il professore Dante, affrontando temi attuali come identità, crescita, salute mentale e amori non convenzionali.
Un professore 3, Alessandro Gassmann, Claudia Pandolfi e la nuova generazione di attori che anima la 5ª B del Da Vinci tornano protagonisti stasera su Rai 1 con gli episodi 7 e 8 della terza stagione. Una doppia puntata che spinge la serie verso il suo tratto più maturo, mescolando filosofia, drama adolescenziale e quel tocco di caos relazionale che ha trasformato la fiction in un piccolo cult della TV generalista.
Un professore e la serata a Montecassino tra San Benedetto, segreti e sentimenti in bilico
La forza di “Un professore” sta nel suo format: ogni episodio è dedicato a un pensatore, e lo sguardo filosofico diventa il filtro per leggere le vite di ragazzi e adulti. È una scelta che ha dato alla serie un’identità diversa da tanti teen drama, un po’ più nerd, un po’ più profonda, e in queste puntate torna a brillare.
Si parte con l’episodio “San Benedetto: ora et labora”, ambientato nella gita a Montecassino. Un luogo che, storicamente, rimanda alla disciplina e al lavoro come forma di armonia interiore. Sulla carta. Perché sul pullman della 5ª B regna il solito disordine emotivo: Simone scopre la verità sugli espedienti di Thomas e il loro rapporto entra in zona turbolenza, Greta e Thomas si perdono in una sbronza rivelatrice e Zeno, travolto dalle sue ansie, si allontana dal gruppo e costringe tutti a una ricerca notturna. In mezzo a tutto questo, Dante e Anita trovano un momento solo loro: breve, intenso, complicato. Esattamente come loro.
È l’episodio che mostra quanto la serie sia cresciuta: i personaggi non sono più i ragazzi delle prime stagioni, e la fotografia dei loro dilemmi diventa più adulta, più sfumata. Il triangolo Simone–Thomas–Greta è forse la storyline più “pop”, ma anche quella che racconta meglio il tema della responsabilità e del bisogno di riconoscersi, senza per forza definirsi.
“Kollontaj e l’eros alato”: amore libero, ma non troppo
Il secondo episodio della serata mette al centro Aleksandra Kollontaj, pensatrice rivoluzionaria che teorizzava un amore emancipato da gelosie e possesso. La 5ª B prova a metterla in pratica, ma la realtà è sempre più ostica delle teorie. La relazione a tre tra Laura, Luna e Matteo, che sembrava una provocazione narrativa quasi accademica, implode. Un po’ è l’inesperienza, un po’ il bisogno di rassicurazioni emotive: se vuoi raccontare l’amore poliamoroso in prima serata Rai 1, questa è probabilmente la strada più credibile.
Greta continua a oscillare tra Thomas e la propria inquietudine, Simone affonda in un nuovo momento di crisi identitaria – ed è sempre interessante come la serie affronti il tema senza moralismi, con una delicatezza che in TV generalista non è affatto scontata – e Zeno rifiuta la scuola, specchio di un disagio che la serie tratta con una cura quasi documentaristica.
In parallelo, Manuel rischia l’anno. È la storyline che meglio rappresenta il cuore autentico della fiction: la fatica di crescere quando la vita ti ha già buttato troppi pesi addosso. Gassmann, Pandolfi, Gavino e Maupas funzionano perché i loro rapporti sono imperfetti, fragili, umani, molto lontani dai genitori-professori “modello Mulino Bianco” tipici della TV italiana dei Duemila.
- Simone e la sua continua ricerca di un posto nel mondo
- Manuel e il percorso di responsabilità dopo anni di scelte borderline
– La filosofia applicata al quotidiano come bussola narrativa
– Una classe che cresce insieme al pubblico
Le dinamiche affettive sono il motore della puntata, ma c’è spazio anche per un arco più cupo: quello di Alba, trascinata in guai seri. Dante prova a intervenire – come sempre – ma peggiora tutto. È uno dei pregi della serie: il professore non è un supereroe, è un uomo che sbaglia, spesso con ottime intenzioni. La sua fallibilità è diventata parte del fascino del personaggio.
Il lascito culturale della serie
“Un professore” è oggi un punto di riferimento per la fiction italiana contemporanea. Non perché rivoluzioni il linguaggio seriale, ma perché porta in prima serata argomenti che per anni sono stati trattati solo da serie teen internazionali: identità sessuale fluida, famiglie non tradizionali, salute mentale, relazioni non convenzionali. Il tutto confezionato in un prodotto accessibile, pop, emotivo.
L’impatto culturale più evidente è nella rappresentazione LGBTQ+: Simone resta uno dei personaggi queer più sfaccettati visti recentemente in una fiction generalista, e le sue “ship” – da Manuel a Mimmo, fino a Thomas – sono diventate parte della cultura pop italiana, commentatissime online a ogni puntata. In un panorama televisivo che tende al conservatorismo, la serie osa, senza perdere pubblico. Un equilibrio non scontato.
Stasera, quindi, non va in onda solo un doppio episodio: va in onda un pezzo di quella fiction italiana che prova a raccontare la complessità senza farla pesare, a parlare ai giovani senza paternalismi e a portare un po’ di ragionamento filosofico nei giovedì sera di Rai 1. Non capita spesso, ed è forse per questo che la 5ª B è diventata così amata.
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