La verità sul riso integrale che i supermercati non vogliono farti sapere: controlla subito questa scritta in etichetta

Quando acquistiamo riso integrale al supermercato, raramente ci soffermiamo a scrutare con attenzione l’etichetta. Eppure, dietro quella confezione dall’aspetto innocuo si nasconde una questione cruciale che riguarda direttamente la nostra salute: la provenienza geografica del prodotto. A differenza del riso bianco raffinato, quello integrale conserva la crusca e il germe, parti preziose dal punto di vista nutrizionale ma che possono anche accumulare in misura maggiore eventuali contaminanti presenti nell’ambiente di coltivazione, perché sono proprio questi strati esterni a entrare maggiormente in contatto con suolo e acqua di irrigazione.

Perché la provenienza del riso integrale fa la differenza

Il riso integrale rappresenta una scelta consapevole per chi desidera un’alimentazione più completa: mantiene crusca, germe ed endosperma ed è mediamente più ricco di fibre, vitamine del gruppo B e minerali rispetto al riso bianco raffinato, a cui crusca e germe vengono rimossi. Le analisi nutrizionali mostrano che il riso integrale contiene più fibre, magnesio, fosforo e alcune vitamine del gruppo B rispetto al riso bianco.

Proprio quegli strati esterni che lo rendono così nutriente assorbono però con maggiore facilità elementi presenti nel terreno e nell’acqua di irrigazione. Nel riso, in particolare nel riso integrale, possono accumularsi metalli e metalloidi come arsenico inorganico, cadmio e piombo, oltre a residui di pesticidi, con una concentrazione generalmente più alta nello strato di crusca rispetto al chicco raffinato.

La zona geografica di coltivazione determina in modo significativo il livello di esposizione a questi contaminanti. La presenza di arsenico nel riso dipende dalla geologia locale, dalla qualità delle acque di irrigazione e da eventuali sorgenti antropiche come passate attività industriali o uso storico di fitofarmaci contenenti arsenico. Studi comparativi hanno mostrato differenze importanti nei livelli di arsenico in risi provenienti da diverse aree del mondo. Terreni inquinati o acque contaminate possono quindi trasformare un alimento salutare in un potenziale veicolo di sostanze indesiderate.

Il labirinto delle etichette: cosa cercano di non farci vedere

Sfogliando le confezioni negli scaffali dei supermercati, si nota che molti produttori utilizzano diciture come “origine UE e non UE” oppure “miscela di risi di diverse provenienze”. Queste formulazioni rispettano la normativa europea sull’indicazione di origine per il riso, che consente indicazioni aggregate per i prodotti trasformati o miscelati, ma non forniscono un’informazione dettagliata al consumatore. Talvolta l’indicazione geografica è riportata in caratteri molto piccoli rispetto ad altri elementi grafici, pur nel rispetto dei requisiti minimi di leggibilità fissati dalla legge.

Questa scarsa chiarezza non è necessariamente illegale, ma è coerente con strategie commerciali che privilegiano la flessibilità degli approvvigionamenti, ossia la possibilità di cambiare origine in base ai prezzi, e la riduzione dei costi, spostando parte delle forniture verso paesi dove la manodopera è meno costosa e i controlli ufficiali possono essere meno capillari rispetto all’Unione Europea.

Gli standard di sicurezza non sono uguali ovunque

Non tutti i paesi produttori applicano gli stessi criteri di controllo. L’Unione Europea ha fissato limiti massimi di contaminanti negli alimenti che comprendono limiti per arsenico inorganico nel riso e per cadmio e piombo in diversi alimenti vegetali. L’UE prevede inoltre un sistema di controlli regolari e di allerta rapida per i prodotti non conformi.

Alcuni paesi extraeuropei, pur essendo grandi esportatori di riso, adottano limiti o sistemi di controllo diversi, talvolta meno stringenti di quelli europei. Le differenze emergono confrontando i limiti UE con quelli fissati dalle normative internazionali o nazionali di altri paesi produttori.

Il problema riguarda in particolare l’arsenico inorganico, l’arsenico inorganico è classificato come cancerogeno per l’uomo dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare hanno segnalato che il riso può contribuire in modo rilevante all’esposizione dietetica ad arsenico inorganico, soprattutto nei forti consumatori e nei bambini. Nelle risaie coltivate in determinate aree geografiche, a causa di particolari composizioni geologiche o di pregresso inquinamento, la concentrazione di arsenico nel suolo e nell’acqua può essere più elevata, con conseguenti livelli maggiori nel riso raccolto.

Il riso integrale, mantenendo la crusca, tende ad avere concentrazioni di arsenico inorganico più alte rispetto alle corrispondenti varietà raffinate, come documentato da diverse indagini su campioni commerciali.

Come difendersi dalla confusione informativa

Di fronte a questa situazione, il consumatore attento può adottare alcune strategie. Prima di tutto, conviene privilegiare prodotti che indicano in modo esplicito la provenienza geografica, specificando paese e quando disponibile anche l’area o la regione di produzione. Le formule come “varie origini” o “origine UE/non UE” indicano miscele o origini non specificate e, pur non essendo di per sé indice di pericolo, segnalano una minore trasparenza informativa.

Verificare le certificazioni può aiutare: certificazioni volontarie come il biologico o schemi privati che includano controlli su metalli pesanti e pesticidi possono prevedere controlli aggiuntivi, anche se non eliminano completamente il rischio di contaminanti di origine geologica. Conoscere le caratteristiche delle principali aree risicole, ad esempio zone note per suoli ricchi di arsenico naturale o per problemi storici di inquinamento, aiuta a contestualizzare l’origine del prodotto.

Una strategia particolarmente efficace suggerita dalle autorità sanitarie è quella di variare le fonti e alternare il riso con altri cereali integrali come avena, orzo, miglio, quinoa. Questo approccio riduce l’esposizione cronica ad arsenico dal riso, soprattutto nei bambini e nei forti consumatori.

Il ruolo nascosto della lavorazione e del confezionamento

Il paese di confezionamento non corrisponde necessariamente a quello di coltivazione. Un prodotto confezionato in Italia, ad esempio, può contenere riso coltivato in Asia o in America Latina, come previsto dalle regole sul luogo di confezionamento e sull’origine dei prodotti alimentari. Questo può creare confusione per il consumatore che tende ad associare il luogo di confezionamento con l’origine effettiva del cereale.

Questa pratica è legale e comune nelle filiere globalizzate: il riso viene spesso importato come materia prima e poi lavorato e confezionato nel paese di commercializzazione. Ciò sfrutta la maggiore fiducia dei consumatori verso gli standard del paese di confezionamento, senza però garantire che il riso grezzo provenga da coltivazioni soggette agli stessi requisiti normativi del paese dove avviene il confezionamento.

Quali domande porre al momento dell’acquisto

Diventare consumatori più consapevoli significa porsi domande che vanno oltre il prezzo e l’aspetto della confezione. Prima di mettere una confezione di riso integrale nel carrello, ci si può chiedere: da quale paese proviene realmente questo riso, considerando l’origine del chicco e non solo il luogo di confezionamento? Esistono informazioni del produttore su controlli effettuati su metalli pesanti e residui di pesticidi, come risultati di analisi o standard interni? Quale normativa sui pesticidi e sui contaminanti si applica nel paese produttore?

Questi interrogativi possono orientare le scelte verso prodotti potenzialmente più sicuri e contribuiscono, nel tempo, a spingere i produttori verso maggiore trasparenza. Gli studi sui comportamenti d’acquisto mostrano che le aziende tendono a rispondere positivamente alle richieste di informazione sui prodotti quando queste provengono da una base di consumatori sempre più ampia e consapevole.

La battaglia per la trasparenza sulle etichette alimentari è ancora in corso: numerose organizzazioni di consumatori europee hanno chiesto nel tempo regole più chiare sull’origine delle materie prime nei prodotti trasformati. Nel caso specifico del riso integrale, la posta in gioco è rilevante perché coinvolge un alimento consumato regolarmente in molte famiglie, spesso scelto proprio per i suoi benefici salutistici legati al fatto di essere un cereale integrale più ricco di fibre e micronutrienti rispetto al riso bianco.

Una scelta percepita come “più sana” potrebbe risultare meno sicura sotto il profilo dei contaminanti se non è accompagnata da un’adeguata attenzione alla provenienza e alla frequenza di consumo, soprattutto in popolazioni vulnerabili come i bambini. Informarsi, confrontare le etichette, chiedere chiarimenti a produttori e rivenditori rimangono strumenti efficaci nelle mani di chi vuole tutelare la propria salute e quella della propria famiglia, un piatto di riso alla volta.

Quando compri riso integrale controlli da dove arriva realmente?
Sempre guardo il paese preciso
Solo se non dice origine UE
Mi fido del confezionamento italiano
Non ci faccio mai caso
Preferisco evitare riso integrale

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